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Duane Michals: il racconto dell’invisibile

Duane Michals nasce a McKeesport, in Pennsylvania. Inizia il suo percorso fotografico in modo autodidatta e si trasferisce a New York, dove sviluppa un lavoro che rompe con la mera documentazione della realtà. Piuttosto, trasforma la fotografia in una forma di narrazione visiva , interrogando concetti come il tempo, la memoria, la spiritualità e l’identità. Stile e poetica Michals è noto per l’uso di sequenze fotografiche , in cui più immagini si susseguono per costruire una storia o suggerire un pensiero, e per l’inserimento di testi scritti a mano vicini alle fotografie. Il suo linguaggio visivo privilegia ciò che normalmente resta invisibile: i pensieri, i sogni, le rinunce, le trasformazioni interiori. Lega la fotografia alla scrittura, al disegno, alla riflessione, temporaneamente sospendendo la distinzione tra realtà e finzione. Opere e riconoscimenti Il lavoro di Michals ha esplorato ritratti, autoritratti, sequenze narrative e brevi “fictionettes”, operando spesso al di ...

Dorothea Lange: lo sguardo della crisi sociale

 Dorothea Lange nasce nel New Jersey in un contesto familiare di immigrati tedeschi. Afflitta da poliomielite in gioventù, supera le difficoltà fisiche e decide di dedicarsi alla fotografia. Inizialmente apre uno studio ritrattistico a San Francisco, ma ben presto la sua traiettoria si sposta verso la documentazione della condizione umana in tempi di crisi. Il suo lavoro si sviluppa in un’America attraversata dalla Grande Depressione, dalle migrazioni forzate, dalla povertà rurale e dal tema dell’identità sociale. Stile e poetica Il linguaggio fotografico di Lange è un connubio tra rigore visivo e impegno sociale. Utilizza il bianco e nero per accentuare la tensione emotiva, la composizione per isolare il soggetto e la realtà per costruire testimonianza. Le sue immagini mostrano volti, corpi, ambienti segnati dalla crisi, senza edulcorazioni: la fotografia diventa strumento di visibilità per chi è invisibile. Il suo sguardo non si limita a registrare, ma cerca di entrare nella c...

Dora Maar: l’occhio surreale della modernità

 Dora Maar nasce a Tours da genitori di origine croata e francese, si forma tra Parigi e Buenos Aires e già giovanissima avvia un percorso creativo che la porta dal ritratto alla fotografia di moda, fino a entrare nei circoli surrealisti. La sua esperienza riflette i fermenti culturali e politici del Novecento: la fotografia come medium, la città come scena viva, l’identità come tema visivo. Stile e poetica Il linguaggio visivo di Maar si nutre di contrasto tra quotidiano e sogno , giocando con la realtà e la sovversione: fotografie di strada, fotomontaggi, ritratti densi di simboli. Le sue immagini rivelano una sensibilità per il margine, per ciò che è visibile e ciò che è nascosto, combinando rigore tecnico e immaginario surrealista. L’artista utilizza la fotografia per sondare il frammento e farne visione. Opere e riconoscimenti Durante gli anni Trenta viene attiva nel mondo della moda e della pubblicità, quindi sperimenta tecniche e linguaggi personali e si confronta con ...

Don McCullin: la fotografia della guerra e della verità

 Don McCullin nasce a Woodford, Inghilterra. Cresce in un contesto difficile, dove la povertà e le tensioni sociali segnano la vita quotidiana. Queste esperienze lo spingono a osservare con attenzione il mondo attorno a sé e a scegliere la fotografia come strumento per raccontare la realtà in modo diretto e intenso. La sua carriera si sviluppa tra reportage di guerra e documentazioni sociali, esplorando le condizioni umane estreme. Stile e poetica Il linguaggio di McCullin si fonda sul bianco e nero ad alto contrasto, sulle inquadrature decise e sull’attenzione alla presenza emotiva dei soggetti. Le sue immagini non cercano spettacolo, ma restituiscono la durezza della vita, la miseria e i conflitti con rigore e dignità. Ogni scatto è una testimonianza diretta, senza abbellimenti, che mette lo spettatore di fronte alla realtà. Opere e riconoscimenti McCullin ha documentato conflitti in tutto il mondo e le condizioni di povertà urbana in Inghilterra. I suoi reportage hanno cat...
 Diane Arbus è nata nel 1923 a New York in una famiglia ebrea benestante. Ha iniziato la fotografia lavorando con il marito, specialmente nel campo della moda, ma ben presto ha rivolto il proprio sguardo verso soggetti meno convenzionali. Il suo percorso si inserisce tra gli anni del dopoguerra e gli anni Sessanta, un periodo caratterizzato da trasformazioni sociali e culturali, in cui lei ha scelto di focalizzarsi non sulla bellezza comune, ma su ciò che resta ai margini. Stile e poetica La fotografia di Arbus si distingue per uno sguardo frontale e diretto , per l’uso del flash che isola il soggetto, e per una composizione che sfida la normalità quotidiana. I suoi ritratti — famiglie, gemelli, persone appartenenti a subculture, disabili, eccentrici — non sono mai indulgenti né voyeuristici: piuttosto, mostrano la dignità del soggetto e la frattura che vi è tra ciò che si considera “normale” e ciò che si scosta da essa. Le immagini di Arbus invitano lo spettatore a porsi doman...

Diana Markosian: memoria, identità e ritorno

Diana Markosian nasce a Mosca in una famiglia armena e, da bambina, si trasferisce negli Stati Uniti insieme alla madre e al fratello. Questa separazione — l’assenza del padre rimasto in Russia — diventa uno dei nuclei emotivi e narrativi del suo lavoro. La sua biografia non è semplice contesto, ma materia viva: punto di partenza per esplorare memoria, migrazione e ricostruzione personale. Stile e poetica La fotografia di Markosian unisce racconto autobiografico e costruzione visiva. Lavora sulla memoria familiare, sulle immagini d’archivio, sui luoghi che segnano distanza e ritorno. Le sue fotografie hanno un tono intimo, quasi sospeso, in cui passato e presente si sovrappongono. La ricostruzione — anche scenica — non è finzione, ma un modo per rendere visibile ciò che non c’era mai stato raccontato. Opere e riconoscimenti I suoi progetti affrontano la separazione, la figura paterna, la diaspora armena e il rapporto con le origini. Album, lettere, oggetti e ricordi diventano elementi ...

David Seymour

 David Seymour (nato Dawid Szymin, 1911-1956), noto con lo pseudonimo “Chim”, è stato un fotografo polacco-francese che ha vissuto in un’epoca segnata dalla guerra, dalla ricostruzione e dal cambiamento sociale. Nato a Varsavia, intraprese studi di grafica a Lipsia e poi si trasferì a Parigi dove iniziò a fotografare. Durante la Guerra Civile Spagnola collaborò come reporter e, successivamente, contribuì alla fondazione dell’agenzia Magnum Photos, cooperativa internazionale di fotogiornalisti. Il suo lavoro si sviluppa in un contesto di impegno civile e testimonianza visiva, concentrandosi soprattutto sugli effetti della guerra sui bambini e sulle popolazioni vulnerabili. Stile e poetica Il linguaggio visivo di Seymour è profondamente radicato in un impegno umano e in una poesia della realtà . Le sue immagini non sono semplici documenti: mostrano una cura per il soggetto , uno sguardo che registra tanto quanto accoglie. Usa il bianco e nero con grande efficacia per accentuare l...

David LaChapelle: visione, colore e provocazione

 David LaChapelle nasce nel 1963 negli Stati Uniti. Cresce in un ambiente artistico e creativo e sin da giovane si avvicina alla fotografia e all’arte visiva. In un’epoca di grandi mutamenti culturali, televisivi e mediatici — dagli anni ’80 fino al presente — egli interpreta e ridefinisce l’immagine contemporanea attraverso un linguaggio fortemente visivo, spettacolare e ironico. Stile e poetica LaChapelle utilizza il colore intenso , la saturazione estrema , la composizione teatrale e la mise-en-scène elaborata per costruire immagini che oscillano tra pubblicità, moda, arte visiva e critica sociale. Il suo approccio gioca con eccessi, ironia, surrealismo, tende a mettere in scena spettacolari tableau in cui corpi, ambienti, oggetti diventano simboli visivi della modernità, del glamour e dell’eccesso. La sua fotografia non si limita a registrare: progetta e modella, trasforma la realtà in visione e rinnova l’idea di ritratto e di immagine commerciale. Il risultato è un linguag...

David Bailey: il volto della Swinging London

David Bailey è uno dei fotografi che hanno ridefinito l’immaginario della Londra degli anni Sessanta. Cresciuto in un ambiente popolare e approdato alla fotografia quasi per caso, porta nel mondo della moda un’energia nuova: veloce, diretta, irriverente. Non cerca l’eleganza distante, ma l’immediatezza. Ritrae modelle, attori, musicisti e figure della cultura pop dando forma a un’estetica che diventa simbolo della “Swinging London”. Stile e poetica La sua firma è un bianco e nero nitido, essenziale, con sfondi puliti e luce decisa. Bailey elimina tutto ciò che è superfluo e punta sul carattere del soggetto: lo sguardo, il gesto, la presenza fisica. I suoi ritratti sembrano semplici, ma hanno una forza iconica immediata. L’obiettivo non è costruire perfezione, ma catturare personalità e vitalità. È un modo moderno di intendere la fotografia di moda e il ritratto: diretto, umano, immediatamente riconoscibile. Opere e riconoscimenti Riviste, editoriali, libri e campagne hanno reso Bail...

Daidō Moriyama: il linguaggio del caos

Daidō Moriyama è una delle figure centrali della fotografia giapponese del dopoguerra, autore che ha trasformato il modo di vedere la città, il movimento, l’istante. Cresciuto in un Giappone attraversato da ricostruzione, occidentalizzazione e tensioni sociali, ha scelto di raccontare ciò che si agitava sotto la superficie: periferie, cartellonistica, cani randagi, insegne luminose, corpi in attesa, strade che sembrano respirare. Il suo lavoro non costruisce un’immagine patinata del Giappone, ma entra dentro il tessuto urbano con un’energia ruvida, intuitiva, irregolare. Dai primi anni Sessanta, quando si avvicina alla fotografia professionale, Moriyama individua nel linguaggio visivo un mezzo per registrare la frattura: non la bellezza, non la forma ordinata, ma il frammento, l’eccesso, la vibrazione di un Paese che cambia. Quello che ne deriva è un archivio sensoriale, un atlante di sguardi e di scarti che restituisce la città come organismo vivo. Stile e poetica La cifra estetica d...

Cristina García Rodero: riti, comunità e il cuore del mito

Cristina García Rodero (1949) ha dedicato la vita a fotografare l’ umano nella sua dimensione rituale, emotiva, collettiva. Cresciuta nella Spagna del dopoguerra, sceglie di raccontare il paese non attraverso gli stereotipi della cartolina, ma entrando nei paesi , nelle feste popolari , nelle processioni , negli ex‑voto , nei riti che tengono insieme memoria, fede, appartenenza. Il suo lavoro, inizialmente concentrato sulla Spagna profonda, si allarga poi al mondo: luoghi lontani e comunità diverse, sempre osservati con la stessa capacità di stare vicino, di attendere , di lasciare che la scena accada. Il risultato è un archivio impressionante di emozioni e gesti che, pur legati a contesti specifici, parlano un linguaggio universale. Stile e poetica La cifra di García Rodero è un bianco e nero denso, plastico, dove il contrasto scolpisce volti e mani, tessuti e polveri. La composizione cerca equilibri che nascono dal movimento: candele, stendardi, corpi che corrono o si fermano; ...

Cristina de Middel: finzione, archivio e il fotolibro come laboratorio

  Introduzione Cristina de Middel (1975) ha reso centrale, nella fotografia contemporanea, la frizione tra documento e finzione. Formata tra belle arti e fotogiornalismo, porta nel proprio lavoro una doppia competenza: il rigore della ricerca sul campo e la libertà dell’invenzione narrativa. I suoi progetti prendono spesso spunto da fatti reali, documenti, archivi, leggende o cronache ai margini, che vengono ricomposti in narrazioni visive capaci di svelare verità più profonde del dato immediato. Il luogo naturale del suo lavoro è il fotolibro , dove editing, sequenza, grafica e materiali cartacei diventano elementi di significato. Riconosciuta a livello internazionale, assume ruoli di responsabilità in contesti istituzionali, portando questa visione dentro un dialogo più ampio sulla fotografia di oggi. Stile e poetica Il suo metodo parte da una domanda : che cosa succede se, invece di smentire una storia, la rimontiamo per mostrarne le contraddizioni? Nascono così progetti...

Corinne Day: contro‑glamour, intimità e verità scomoda

  Introduzione Corinne Day (1962–2010) ha cambiato il corso della fotografia di moda degli anni Novanta portando dentro le riviste un linguaggio intimo , quotidiano, a tratti spigoloso, lontano dai codici patinati del decennio precedente. Proveniente da un ambiente popolare londinese e passata anche dall’esperienza di modella, conosce dall’interno l’industria e decide di rovesciarla: meno luci perfette, più luce di finestra ; meno posa costruita, più gesto ; meno distacco glamour, più fragilità . L’incontro con una giovanissima Kate Moss e le immagini che ne derivano non sono soltanto la nascita di un’icona: segnano il punto in cui la moda accetta di mostrarsi vulnerabile, quotidiana, quasi diaristica. Stile e poetica La fotografia di Day è fatta di prossimità e tempo condiviso . La macchina si avvicina senza invadere, entra nelle stanze, nei bagni, nelle cucine; accetta l’imperfezione come parte della verità. Il colore —quando presente—è tenue, sgranato, “vissuto”; il bianco e...

Claude Cahun: autorappresentazione, metamorfosi, resistenza

  Introduzione Claude Cahun (1894–1954), nata Lucy Schwob, è tra le figure più radicali nella storia dell’autoritratto fotografico. Scrittrice, artista, fotografa, attraversa la Parigi delle avanguardie e costruisce—insieme a Marcel Moore, compagna e collaboratrice—una pratica in cui identità , genere e ruolo sociale sono continuamente smontati e rimontati attraverso il travestimento, la maschera, la posa. Lontana dal mero narcisismo, l’autoritratto diventa un atto politico : definire il proprio volto come campo di possibilità e non come destino. La biografia si intreccia con la storia: lo spostamento a Jersey, l’impegno contro l’occupazione nazista, l’arresto, la condanna e la sopravvivenza fanno della sua opera un documento di resistenza, oltre che di sperimentazione estetica. Stile e poetica Il set di Cahun è essenziale, spesso un interno spoglio o un fondale improvvisato. Il corpo è scena e strumento: capelli tagliati, costumi, protesi, trucco e sguardi diretti in camera...

Clarence H. White: il pittorialismo come scuola e comunità

  Introduzione Clarence H. White (1871–1925) è una delle figure decisive del passaggio tra Ottocento e Novecento nella fotografia americana. Autodidatta nell’Ohio rurale, raggiunge presto una maturità che lo porta a dialogare con i circoli artistici d’avanguardia, a essere tra i protagonisti del pittorialismo e a fondare una scuola che diventerà punto di riferimento per generazioni di fotografi. La sua biografia è scandita da due linee parallele: da un lato la ricerca autoriale , poetica e tecnica, fatta di stampe raffinate e immagini dal respiro intimo; dall’altro l’ impegno educativo , che trasforma la fotografia in una disciplina con metodi, corsi, progetti collettivi e attenzione all’etica del lavoro. White non pensa alla fotografia come gesto solitario: la immagina come comunità, dialogo, costruzione di un linguaggio condiviso. La sua morte improvvisa, durante un workshop in Messico, chiude un percorso breve ma densissimo, che lascia in eredità un modello di autore-docente an...